Ripartire dal lavoro

 

operai al lavoro tra gli impianti - Copia

La questione centrale! La vicenda dell’Api pone, in modo imperioso, un interrogativo ed un tema di vasta portata. Per tutti: forze economiche, rappresentanze sociali, livelli istituzionali, lavoratori, cittadini. Essa mette a nudo le difficoltà, livella le differenze, fa ragionare in termini globali e al tempo stesso affronta necessariamente temi concreti, coniugando il presente con il futuro. Non è una battaglia restringibile solo agli addetti ai lavori (dipendenti o imprenditori, a vario titolo, del settore) e nemmeno allargabile solo al grande mondo dell’indotto, o alle loro famiglie, ma ad un’intera città, ad un territorio di un vasto perimetro geografico, ad una intera società regionale.

Tutti vengono toccati, ognuno ne subisce le conseguenze, nessuno è immune da contraccolpi. Chi pensa di potersi rinchiudere acquartierato tra le proprie mura, munito dei propri privilegi o rendite di posizione, sbaglia e fa sbagliare. Vengono messi a dura prova i sindacati, la loro capacità di rappresentanza e di interpretazione della realtà, ma anche partiti politici, istanze di base e istituzioni democratiche, a partire da quelle locali.

Negli ultimi tempi diverse esigenze e aspirazioni si sono diffuse e radicate nella Società e hanno reclamato la loro dignità di esistere in un mondo veramente sempre più complesso ed articolato: il tema della salute, della difesa dell’ambiente, della valorizzazione dei meriti, della partecipazione democratica effettiva alle scelte politiche. Ma come fare per affrontare in maniera equilibrata, coordinata e non utopica, tutte queste insopprimibili esigenze?

Non esiste a mio giudizio un modello precostituito o costruibile. Né può essere tale modello demandabile ad una ipotetica ingegneria sociale o istituzionale. Occorre più concretamente, ripartire e affidarsi alla nostra storia, al nostro vissuto, a ciò che, nel tempo, abbiamo saputo e meglio fare. Quasi un modo empirico di affrontare il problema. Che voglio dire? Semplice. Le cose migliori che gli italiani e l’Italia stessa ha realizzato dal dopoguerra in poi sono state quelle di creare occasioni di lavoro, diffuse e molteplici, affidandosi alla propria ingegnosità, intraprendenza e particolare senso del rischio.

Attorno a questo approccio e a questa esperienza storica è cresciuto il livello culturale di ampi strati della popolazione, l’acquisizione di stadi importanti di benessere diffuso, l’irrobustimento del tessuto democratico, forza e consapevolezza del movimento sindacale, capacità d’urto del sistema economico. È da qui, a mio avviso, che occorre ripartire. Lottare per la difesa del posto di lavoro, in maniera costante, con forza, senza infiacchirsi, con energia sempre rinnovabile, con viva speranza, non vuol dire mettere in subordine i temi più generali a cui facevo riferimento, bensì rigenerarli, reinterpretarli ed esaltarli.

Certamente occorre evitare di arroccarsi dietro agli slogan tradizionali, fingendo di non vedere la realtà che è attorno a noi, o le tendenze del futuro, in un mondo sempre più mutevole e complesso. Anzi occorre captare il senso più generale e gli stimoli che da esso provengono. Per essere più concreti. Non si può chiedere, ad esempio, all’Api, alle sue maestranze, ai suoi azionisti, ai suoi dipendenti ciò che essi non sanno fare, o meglio ancora ciò che non appartiene al know how consolidato del suo collaudato sistema produttivo. Occorre tracciare una rotta e affrontare il problema con un diverso approccio culturale. Non si tratta di una vertenza da risolvere soli su tavoli tecnici, che sono sempre utili, ma partire proprio dal lavoro, dalla difesa dei livelli occupazionali, per affrontare anche gli altri temi che non sono necessariamente contrastanti. Il lavoro e il valore dello stesso non può essere reputato contrastante rispetto alla tutela della salute, alla valorizzazione dell’ambiente, alla affermazione di un buona qualità e di un buon stile di vita.

 

La battaglia, quindi, è coinvolgente per i lavoratori dell’Api e si sostanzia in una vertenza che va indirizzata nella affermazione del lavoro per tutti. Tutte le forze, sociali, economiche e istituzionali, insieme debbono poter lavorare per trasformare il lavoro stesso verso orizzonti e traguardi più avanzati, ma sempre partendo da quello che è già nel suo Dna, nel patrimonio culturale e professionale di noi tutti.

 

Diversificazione non può voler dire cambiare necessariamente e d’improvviso settore, ma ampliare l’offerta in maniera graduale e armonica partendo dal settore produttivo di riferimento, possibilmente affinandolo, migliorandolo, rendendolo più competitivo, non rinunciando ad attivare contemporaneamente nuove frontiere, che, nella fattispecie, toccano, attraverso la ricerca e la sperimentazione, nuove fonti energetiche alternative, a partire da quelle rinnovabili o di nuovs generazione.

 

Tutte le forze cittadine debbono sentirsi coinvolte ed unite, condividendo e creando una sinergia attiva e democratica, affinché l’obiettivo possa essere di tutti e i benefici riversati all’intera collettività.

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