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Gli sprechi nelle PA più dannose dell'evasione: a Falconara il Comune ci costa 6 milioni in meno rispetto al 2008
Un recente studio della Cgia di Mestre ha sottolineato come gli sprechi delle pubbliche amministrazioni incidano per una cifra superiore all'evasione fiscale. Il ragionamento che arriva dal centro studi ribalta lo schema che per decenni ci siamo sentiti, non senza qualche dubbio che tuttavia sarebbe stato bollato come eretico se espresso, ripetere all'infinito: le tasse sono alte perché ci sono furbetti che non le pagano. Come se il deficit italiano e l'aumentare del peso fiscale dipendessero in via esclusiva dal barista che non fa lo scontrino del caffè. Baristi, male assoluto? Non ho mai creduto a questa tesi. Vediamo i dati. Secondo il Ministero dell'Economia l'evasione sottrae alle casse dello Stato qualcosa come 110 miliardi di euro ogni anno. Se andiamo ad analizzare le inefficienze delle Pa scopriamo che, ad esempio, il peso della burocrazia grava sulle piccole e medie imprese per un importo di 31 miliardi di euro l’anno a fronte di debiti degli enti nei confronti dei fornitori che ammontano a 64 miliardi (di cui 34 ascrivibili ai ritardi nei pagamenti). Che il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per 42 miliardi di euro l’anno. Che gli sprechi, le inefficienze e la corruzione presenti nella sanità ci costano 23,6 miliardi di euro l’anno e che la lentezza della nostra giustizia civile ne costa altri 16. Si dirà che se tutti pagassero le tasse il nostro sistema funzionerebbe meglio. È altrettanto ipotizzabile però che se si riuscisse a tagliare la spesa pubblica, girando poi il pari importo sul taglio della pressione fiscale, l'evasione sarebbe più contenuta. “Molti esperti – ha dichiarato il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo - sostengono che la fedeltà fiscale di un Paese è direttamente proporzionale al livello di pressione fiscale a cui sono sottoposti i propri contribuenti”.
Un recente studio della Cgia di Mestre ha sottolineato come gli sprechi delle pubbliche amministrazioni incidano per una cifra superiore all'evasione fiscale. Il ragionamento che arriva dal centro studi ribalta lo schema che per decenni ci siamo sentiti, non senza qualche dubbio che tuttavia sarebbe stato bollato come eretico se espresso, ripetere all'infinito: le tasse sono alte perché ci sono furbetti che non le pagano. Come se il deficit italiano e l'aumentare del peso fiscale dipendessero in via esclusiva dal barista che non fa lo scontrino del caffè. Baristi, male assoluto? Non ho mai creduto a questa tesi. Vediamo i dati. Secondo il Ministero dell'Economia l'evasione sottrae alle casse dello Stato qualcosa come 110 miliardi di euro ogni anno. Se andiamo ad analizzare le inefficienze delle Pa scopriamo che, ad esempio, il peso della burocrazia grava sulle piccole e medie imprese per un importo di 31 miliardi di euro l’anno a fronte di debiti degli enti nei confronti dei fornitori che ammontano a 64 miliardi (di cui 34 ascrivibili ai ritardi nei pagamenti). Che il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per 42 miliardi di euro l’anno. Che gli sprechi, le inefficienze e la corruzione presenti nella sanità ci costano 23,6 miliardi di euro l’anno e che la lentezza della nostra giustizia civile ne costa altri 16. Si dirà che se tutti pagassero le tasse il nostro sistema funzionerebbe meglio. È altrettanto ipotizzabile però che se si riuscisse a tagliare la spesa pubblica, girando poi il pari importo sul taglio della pressione fiscale, l'evasione sarebbe più contenuta. “Molti esperti – ha dichiarato il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo - sostengono che la fedeltà fiscale di un Paese è direttamente proporzionale al livello di pressione fiscale a cui sono sottoposti i propri contribuenti”.
Di contenimento delle spese, a Falconara, ne sappiamo qualcosa. Quando siamo arrivati al governo della città, nel 2008, con le casse comunali dissestate e a un passo dal fallimento, il primo problema che abbiamo affrontato è stato quello di contenere la spesa pubblica. All'epoca le uscite del bilancio comunale ammontavano a quasi 29 milioni (28.859.107,74 euro) mentre oggi la spesa si assesta sui 22.899.239,56. Sei milioni in meno, euro più, euro meno. Ha inciso la riduzione dei dipendenti pubblici dovuta al blocco del turnover, ovviamente, ma la maggior parte di questo risparmio nasce da tanti piccoli accorgimenti: la centrale unica per gli appalti avviata con Chiaravalle e Camerata Picena, un controllo più oculato delle utenze (telefoniche, luce, energia anche attingendo al mercato libero). Pare poco? Non lo è. Dove potevamo intervenire, siamo intervenuti. Senza inasprire ulteriormente la già alta pressione fiscale comunale lasciataci in eredità dalla precedente amministrazione di centrosinistra. E senza andare a intaccare – e i bilanci sono lì a testimoniarlo – le risorse per i servizi al cittadino, per la manutenzione delle strade (che anzi, sono aumentate) e riuscendo in parecchi casi anche ad approvare riduzioni ed esenzioni per le fasce di popolazione più deboli. Al di là dei freddi numeri, tuttavia, non dobbiamo pensare che una minore spesa si sposi con il concetto di qualità. Spendere poco per poi non dare nulla di ritorno alla cittadinanza è comunque sperpero, a mio modo di vedere. La strada più giusta è e resta quella di una gestione all'insegna della massima oculatezza. Utilizzando le risorse al meglio per conseguire il bene comune. Dote che, credo, la gente ci riconosca dopo il gran lavoro fatto in questi anni.
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Governare, verbo né di destra, né di sinistra: da coniugare oltre il Fiscal Compact
Compiti a casa dall'Europa, basta. Un'indagine condotta dalla Swg che mi è capitata in mano in questi giorni rivela come la maggioranza degli italiani, a prescindere da quanto proposto dai loro partiti di riferimento, vorrebbe meno vincoli di bilancio da parte di Bruxelles, risorse da investire in sviluppo (e quindi in ripresa) e sono contrari a ridurre il welfare per far quadrare i conti. Stando all'indagine, il 72% degli italiani chiede di allentare il rigore e aprire una nuova stagione di investimenti per la crescita. Basta Fiscal Compact. Occorre tornare a investire nel futuro. Tra gli elettori dei principali partiti politici italiani sono veramente pochi quelli per i quali è necessario mantenere salde le politiche di rigore: il 10% degli elettori della Lega Nord, il 27% di quelli di Forza Italia, il 15% del Pd e il 12% dei 5 Stelle. Il vincolo del 3% nel rapporto tra deficit e Pil è osteggiato da tutti. Più dal centrodestra che chiede di toglierlo, meno da dem e grillini più orientati per un alleggerimento. Per intervenire sul debito, infine, solo il 25% è favorevole a tagli al sociale, al welfare. Questione spinosa, quella del rapporto dell'Italia con l'Unione. Lo vediamo tutti i giorni. La questione migranti, le imposizioni, le manovre di bilancio sotto costante esame. Ci chiedono tanto. Ci danno poco o niente. L'Austria e l'Ungheria ci dicono come accogliere i migranti ma chiudono le loro frontiere. La Francia mentre ci ringrazia cerca di accreditarsi commesse commerciali in Libia e ostacola la nostra Fincantieri nell'acquisizione dei loro cantieri navali, la Germania ci chiede serietà salvo poi ignorare per prima le norme europee sul limite di export. L'Europa, da famiglia che doveva essere negli ideali, è un condominio litigioso i cui abitanti si ignorano finché non si pestano i piedi l'un l'altro. Ovviamente non credo possibile un ritorno all'opulenza pre crisi. L'analisi di quanto è successo ha dimostrato che abbiamo vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità, concedendoci lussi che ora siamo chiamati tutti a dover ripagare a scapito delle nuove generazioni, come detto da più parti, le prime a stare peggio della precedente dal Dopoguerra. La Storia ci insegna anche che l’eccessivo rigore, in fase economica stagnante, non giova. Immaginate un’azienda alle prese con il rilancio. Se guadagna poco e non investe per modificare il suo business, il destino sarà quello di morire lentamente. Di contro, investendo denari in progetti a medio lungo termine avrà la possibilità di uscire dalle sabbie mobili. A patto di rendersi competitiva senza riproporre schemi fallimentari.
Viviamo in un Italia che per decenni ha visto coesistere aziende pubbliche e aziende private. Con quest’ultime viste sempre quasi come un male. Osteggiate da mille vincoli, da una burocrazia asfissiante. Penso si debba ripensare anche a questo tipo di rapporto. Il privato non è il demonio. Per l’Ente pubblico può essere un partner per raggiungere fini comuni di sviluppo, di lavoro. Quando affronto questi temi non posso fare a meno di pensare, con tutte le dovute proporzioni, alla nostra Falconara. Al nostro arrivo ci siamo trovati di fronte un Moloch da 90 milioni di euro di debiti, il rischio default dietro l'angolo e l'azzeramento di tutti i servizi se non quelli essenziali. Era il 2008. Più o meno all'inizio delle stagioni del Patto di Stabilità dei Comuni che ha ingabbiato gli investimenti. Vincoli di spesa anche in presenza di soldi disponibili. Un'ulteriore mazzata per noi oltretutto che non potevamo (e non possiamo tutt'ora) accendere mutui vista la mole di quelli contratti in precedenza (anche per finanziare la stagione estiva e fare concerti!). Ci siamo dovuti rimboccare le maniche e raddrizzare i conti. Asfaltando strada, manutenendo l'esistente attraverso risparmi. Senza mai rinunciare a dare servizi al cittadino: scuolabus, mense scolastiche, asili nido, centri estivi, anziani, diversamente abili, disagio sociale, povertà. Chi ci accusa del contrario è in malafede. Come abbiamo fatto? Intanto abbiamo tagliato sugli sprechi. E poi siamo riusciti a vincere alcune partite in campo diplomatico. Ad esempio: lo sapevate che prima del nostro arrivo l'Autorità Portuale non aveva mai versato il becco di un quattrino a Falconara nonostante la metà delle tasse che incamera arrivi dal traffico generato dalla Raffineria Api? Sacrifici ne abbiamo chiesti e fatti tanti. E siamo stati anche previdenti, accantonando somme a previsione di contenziosi legali passati che potevano azzopparci proprio come sta accadendo al Comune di Offagna. Siamo stati bravi e abbiamo ora la possibilità di investire: in opere pubbliche, in manutenzioni, in decoro urbano, in chance di agevolare le imprese che lavorano qui e attirarne di nuove attraverso incentivi mirati. Abbiamo fatto e stiamo facendo ciò che riteniamo ragionevole e necessario. Senza ordini di scuderia e lontani dalle ideologie. Perché, come dimostra anche l'indagine che vi ho proposto, ci sono fini d'interesse generale che sono trasversali agli schieramenti politici. Ed è stato, è e sarà sempre giusto perseguirli.
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Trasporto pubblico, con il nuovo bando regionale Falconara rischia nonostante i buoni risultati
Entro l'anno il servizio di trasporto pubblico locale andrà, per volere della Regione Marche, a gara europea. Conerobus e le altre aziende del settore si preparano a partecipare e se questo può essere, grazie alla comparazione dei costi di affidamento tra più soggetti anziché l'affidamento diretto nel segno del dogma "pubblico è bello", una buona occasione per creare risparmi di spesa pubblica e una gestione migliore del servizio, la situazione di Falconara si potrebbe complicare. Ad oggi abbiamo un efficiente servizio extraurbano grazie alle tratte da e per Senigallia, Jesi, Marina di Montemarciano e Chiaravalle. Servizio che si svolge prevalentemente sulla costa. La conformazione del territorio cittadino ci ha però indotti da tempo nel seguire la strada del potenziamento del servizio urbano che viene svolto con le circolari interne. Corse che vengono finanziate in parte dalla Regione (56mila euro) e in parte dal Comune (83mila). Secondo i dati di Conerobus i bus urbani hanno percorso a Falconara, nel 2016, oltre 86mila chilometri incassando da biglietti, abbonamenti e carnet circa 91mila euro. Un risultato confortante anche alla luce del registrato incremento dell'utenza del 20% in un periodo storico nel quale gli spostamenti sono diminuiti a livello nazionale facendo comunque registrare un calo del tpl a favore dei mezzi privati. Secondo i dati Audimod il pendolarismo in automobile è passato dal 57% del 2001 al 65% del 2016. Nelle Marche il 76,1% degli utenti usa l'auto, il 15,6% la bicicletta e solo l'8,2% viaggia in bus o treno. L'indagine evidenzia comunque un 24% dei marchigiani che vorrebbe utilizzare meno l'auto e affidarsi ai mezzi pubblici.
A Falconara, grazie a politiche mirate come ad esempio biglietti orari, a/r, giornalieri, settimanali e abbonamenti particolari, siamo riusciti a incentivare il tpl. Non senza sforzi visto che abbiamo sopperito con le casse comunali ad alcuni tagli regionali. Tutto questo, tuttavia e nonostante i risultati, potrebbe finire. La gara in questione, infatti, si muove sulle linee guida di una legge regionale – la 6/2013 – che prevedeva il finanziamento del servizio urbano solo ai Comuni sopra i 30mila abitanti o sede di università. Il che significa, per la provincia di Ancona, oltre al capoluogo dorico solo Senigallia, Jesi, Fabriano e Osimo. Noi, no. Il Consiglio delle Autonomie Locali, chiamato a dire la sua sull'avviso di gara, si è espresso contro il limite dei 30mila abitanti. Parere non vincolante. Al momento non rimane che attendere il bando di gara vero e proprio per poter decifrare il futuro ma guai alla Regione se si permetterà di non riconoscere le peculiarità di Falconara che rischia, senza fondi regionali, di non riuscire a sopperire da sola all'intero costo dell'attuale servizio. Già ci sarebbe molto da ridire sul fatto che il servizio non sia riconosciuto un tutt'uno urbano con quello di Ancona. Con i nostri biglietti urbani che si fermano all'altezza del Visintini sulla Flaminia o in via Campania/via Redi a Palombina Vecchia. Con i residenti di Castelferretti costretti a una maggiorazione sul biglietto perché si sfora il chilometraggio. Occorre che la gara, insomma, preveda l'addio a logiche di confini amministrativi e si concentri sulle reali esigenze di mobilità. Nel nostro piccolo abbiamo dimostrando che rimodulando orari, corse e tariffe è possibile incrementare i passeggeri.
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Progetto Civico, valori e nuove idee al servizio del buon governo
La Società cambia. La Politica pure. Cambiano i gusti, le mode, le tendenze, ma anche le esigenze, le aspirazioni, le diverse modalità di interpretare la qualità della vita. Soprattutto sotto la spinta, forte e nervosa, di continue e prorompenti innovazioni tecnologiche. Nuove opportunità, nuovi ritmi, nuove sensibilità. Anche la Politica ha bisogno di una effettiva rigenerazione. Uno slancio diverso, all'altezza delle aspettative dei singoli. Dei più giovani, ma anche delle vecchie generazioni. A Falconara l'abbiamo interpretata, un pò per coraggio e un pò per necessità dopo i disastri del passato, a modo nostro dando vita a movimenti, più o meno organizzati, che sono nati direttamente dalle esigenze dei cittadini, dai loro problemi reali, dalla voglia di discontinuità e di concreto rinnovamento.
Una faticaccia! Tra mille diffidenze e legittimi dubbi. La zavorra dei vecchi partiti era pesante e ancora, in parte, lo è. Finita la stagione degli ideologismi, abbiamo iniziato recuperando gli antichi valori che avevano infiammato gli animi di più di una generazione, riconducendoli in un alveo di contemporaneità, verso un bagno di realismo, di concretezza, di buon senso e di buon governo. In situazioni difficili, certo, date le sconfitte delle amministrazioni passate, aggravate dalla più generale e ancora latente crisi economica e finanziaria. Ferma nell'emergenza, passo dopo passo, la città ha ripreso il suo cammino di ritorno verso la normalità. Modeste ma necessarie realizzazioni, con modi di fare onesti, utilizzo parsimonioso delle risorse pubbliche, attenzione alle esigenze generali ma anche alle più minute. Ora siamo più rinfrancati, guardiamo avanti, in prospettiva, anche a sfide importanti.
Era il 2013 quando abbiamo costituito nuove aggregazioni, fondato nuovi movimenti, organizzato liste civiche che, ispirate dalle idee di alcuni, guardavano ai più giovani, ma anche ai meno giovani purché attenti al futuro. Uniti per Falconara, Insieme Civico per Falconara, Falconara in Movimento e Ridisegnare Falconara. Sigle, modi di proporsi che, facendo ponte con il passato, interpretassero il futuro. Arricchiti, nel turno di ballottaggio, dalle idee degli esponenti di una quinta civica, Falconara Puntoeacapo, che pur non ufficializzando l'apparentamento, portò ulteriore forza alla causa. Nessuna bandiera ideologica. Tutti con la stessa dignità e il medesimo rispetto. In un clima di rinnovata credibilità e fiducia. Rivolti al cittadino e per il cittadino. Occorre continuare. Fare un passo avanti. Dare ancora agibilità e cittadinanza ai singoli, alle nuove idee, alle rinnovate esigenze e aspirazioni. E con esso assicurare e facilitare un ricambio generazionale che è alle porte ma che va accompagnato e incentivato. Ecco, questo per noi è un modo vero e genuino di fare un Progetto Civico.
Era il 2013 quando abbiamo costituito nuove aggregazioni, fondato nuovi movimenti, organizzato liste civiche che, ispirate dalle idee di alcuni, guardavano ai più giovani, ma anche ai meno giovani purché attenti al futuro. Uniti per Falconara, Insieme Civico per Falconara, Falconara in Movimento e Ridisegnare Falconara. Sigle, modi di proporsi che, facendo ponte con il passato, interpretassero il futuro. Arricchiti, nel turno di ballottaggio, dalle idee degli esponenti di una quinta civica, Falconara Puntoeacapo, che pur non ufficializzando l'apparentamento, portò ulteriore forza alla causa. Nessuna bandiera ideologica. Tutti con la stessa dignità e il medesimo rispetto. In un clima di rinnovata credibilità e fiducia. Rivolti al cittadino e per il cittadino. Occorre continuare. Fare un passo avanti. Dare ancora agibilità e cittadinanza ai singoli, alle nuove idee, alle rinnovate esigenze e aspirazioni. E con esso assicurare e facilitare un ricambio generazionale che è alle porte ma che va accompagnato e incentivato. Ecco, questo per noi è un modo vero e genuino di fare un Progetto Civico.