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Falconara è da oltre 40 anni senza un piano anti terremoto: stiamo lavorando anche questo
Le nuove scosse di terremoto degli ultimi giorni hanno riportato il grande pubblico a parlare di sicurezza in caso di calamità. Un sisma, come nel nostro caso, ha sempre la capacità di polarizzare – almeno nell'immediatezza – il dibattito. Nazionale e locale. Salvo poi essere abbandonato altrettanto rapidamente con il passare dei giorni. Falconara non fa eccezioni. Tanto che dalla serata di mercoledì, a partire dai social fin nelle piazze, è tutto un susseguirsi di commenti, domande, riflessioni e anche divagazioni sul tema. Come amministratori, nei minuti successivi le scosse, pur a circa 80 chilometri dall'epicentro (in foto un'immagine di Camerino), abbiamo convocato il Coc (Centro Operativo Comunale) per valutare il da farsi. Verifiche sulle strutture erano indispensabili. Non perché gli edifici non siano a norma. Quelli sono altri controlli che abbiamo già effettuato nel tempo. Ma perché è bene verificare sempre dopo un evento del genere. Nell'impossibilità operativa di avviare controlli notturni da parte dell'ufficio tecnico comunale, il sindaco Brandoni ha preferito, come per altro molti altri sindaci del territorio, chiudere le scuole di ogni ordine e grado per giovedì 27. Giornata interamente dedicata alle strutture. Tutte risultate agibili e non danneggiate tanto che in serata si è provveduto a comunicare alla popolazione la loro riapertura per il giorno successivo. Allo stesso tempo sono stati allertati i gestori dei campi sportivi comunali, dei palasport e delle palestre di tenere aperto e con le luci accese per ospitare potenziali cittadini che non fossero stati tranquilli tra le mura domestiche.
Questa iniziativa rientra nel piano di emergenza cittadino e fa parte di quelle azioni amministrative che vengono portate avanti da tempo. Quando, cioè, le luci dei riflettori sono spente. Quando il dibattito è altrove, magari focalizzato su una buca in strada da rattoppare, su un marciapiede dissestato, sull'erba troppo alta di un'aiuola. Temi che nell'ordinario del quotidiano hanno pur sempre la loro importanza, per carità. Guai all'amministratore che trascura questi aspetti. Ma guai anche a svegliarsi travolti dall'emergenza. È per questo che, come dicevo, da tempo stiamo lavorando alla realizzazione di un PIANO COMUNALE DI PROTEZIONE CIVILE che accorpi i vari protocolli di emergenza vigenti e quelli in via di completamento. Che Falconara sia una realtà problematica non è una novità. Che dal 1972, anno del terremoto di Ancona, a oggi non si sia predisposto un piano di emergenza in caso di sisma è assurdo.
L'epoca d'oro delle giunte di centrosinistra, quelle del Grande Debito falconarese, hanno giusto partorito il Piano di Emergenza Esterna in caso di incidente rilevante alla raffineria Api. La procedura è stata da noi migliorata nel 2014. Dovete sapere che prima di allora il Comune veniva avvisato solo se l'incidente era particolarmente grave. Con la nostra revisione, il Comune viene sempre avvisato. Sta poi alla responsabilità degli amministratori intraprendere le azioni più opportune nei confronti dei cittadini. A partire dal semplice avviso fino, nei casi più estremi, all'evacuazione dei quartieri. Si resta basiti se si pensa a decenni di amministrazioni a contatto con varie industrie, non solo Api, e appena un protocollo nato dopo l'incendio in raffineria del 1999. Cosa abbiamo fatto noi in questi anni? Il mese scorso il sindaco Brandoni e l'assessore Astolfi hanno riepilogato la situazione attuale. Oltre al già detto Piano che riguarda la Raffineria, Falconara è dotata di un piano di sicurezza dell'aeroporto Sanzio, un piano neve, un piano che riguarda gli interventi in caso di inquinamento da idrocarburi sulla costa (progetto regionale di cui siamo Ente capofila) e un piano di emergenza per incendi boschivi.
E il terremoto? A 44 anni (quarantaquattro!) di distanza da Terry, visto che non ci aveva pensato nessuno, stiamo lavorando anche a questo e siamo in dirittura d'arrivo. Con l'intento di arrivare a fine legislatura al PIANO COMUNALE DI PROTEZIONE CIVILE. Piano, lo ricordo, contenuto nel nostro Programma Elettorale 2013. Stiamo mantenendo una promessa fatta agli elettori che è prima di tutto un dovere degli amministratori (tutti, a prescindere dallo schieramento) nei confronti della popolazione. Siamo compatti nel considerare questa una priorità non più rinviabile. La maggior parte degli aspetti è stata già affrontata. Dalla mappa sismica cittadina alle aree a rischio esondazione, dalle aree a rischio frana ai punti di attesa, ricovero e raccolta tenendo conto del numero di cittadini residenti nei vari quartieri e la viabilità di emergenza. Quello che è rimasto da fare è mettere insieme tutti i dati dei vari settori ed elaborare il Piano Unico. Ovvio, tutto ciò non può rimanere in un cassetto del Comune ma deve essere quanto più divulgato ai cittadini. Lo so, in comunicazione dobbiamo migliorare. Non sarei onesto con i cittadini e con me stesso se affermassi il contrario. Incontri pubblici, simulazioni periodiche, brochure e campagne informative, social network, un servizio di messaggistica che informi e orienti i cittadini in caso di necessità. Azioni per trasformare in patrimonio conoscitivo comune, che in situazioni di crisi fa la differenza e salva vite, uno strumento che se non divulgato rischia di restare un faldone burocratico e polveroso fine a se stesso.
Questa iniziativa rientra nel piano di emergenza cittadino e fa parte di quelle azioni amministrative che vengono portate avanti da tempo. Quando, cioè, le luci dei riflettori sono spente. Quando il dibattito è altrove, magari focalizzato su una buca in strada da rattoppare, su un marciapiede dissestato, sull'erba troppo alta di un'aiuola. Temi che nell'ordinario del quotidiano hanno pur sempre la loro importanza, per carità. Guai all'amministratore che trascura questi aspetti. Ma guai anche a svegliarsi travolti dall'emergenza. È per questo che, come dicevo, da tempo stiamo lavorando alla realizzazione di un PIANO COMUNALE DI PROTEZIONE CIVILE che accorpi i vari protocolli di emergenza vigenti e quelli in via di completamento. Che Falconara sia una realtà problematica non è una novità. Che dal 1972, anno del terremoto di Ancona, a oggi non si sia predisposto un piano di emergenza in caso di sisma è assurdo.
L'epoca d'oro delle giunte di centrosinistra, quelle del Grande Debito falconarese, hanno giusto partorito il Piano di Emergenza Esterna in caso di incidente rilevante alla raffineria Api. La procedura è stata da noi migliorata nel 2014. Dovete sapere che prima di allora il Comune veniva avvisato solo se l'incidente era particolarmente grave. Con la nostra revisione, il Comune viene sempre avvisato. Sta poi alla responsabilità degli amministratori intraprendere le azioni più opportune nei confronti dei cittadini. A partire dal semplice avviso fino, nei casi più estremi, all'evacuazione dei quartieri. Si resta basiti se si pensa a decenni di amministrazioni a contatto con varie industrie, non solo Api, e appena un protocollo nato dopo l'incendio in raffineria del 1999. Cosa abbiamo fatto noi in questi anni? Il mese scorso il sindaco Brandoni e l'assessore Astolfi hanno riepilogato la situazione attuale. Oltre al già detto Piano che riguarda la Raffineria, Falconara è dotata di un piano di sicurezza dell'aeroporto Sanzio, un piano neve, un piano che riguarda gli interventi in caso di inquinamento da idrocarburi sulla costa (progetto regionale di cui siamo Ente capofila) e un piano di emergenza per incendi boschivi.
E il terremoto? A 44 anni (quarantaquattro!) di distanza da Terry, visto che non ci aveva pensato nessuno, stiamo lavorando anche a questo e siamo in dirittura d'arrivo. Con l'intento di arrivare a fine legislatura al PIANO COMUNALE DI PROTEZIONE CIVILE. Piano, lo ricordo, contenuto nel nostro Programma Elettorale 2013. Stiamo mantenendo una promessa fatta agli elettori che è prima di tutto un dovere degli amministratori (tutti, a prescindere dallo schieramento) nei confronti della popolazione. Siamo compatti nel considerare questa una priorità non più rinviabile. La maggior parte degli aspetti è stata già affrontata. Dalla mappa sismica cittadina alle aree a rischio esondazione, dalle aree a rischio frana ai punti di attesa, ricovero e raccolta tenendo conto del numero di cittadini residenti nei vari quartieri e la viabilità di emergenza. Quello che è rimasto da fare è mettere insieme tutti i dati dei vari settori ed elaborare il Piano Unico. Ovvio, tutto ciò non può rimanere in un cassetto del Comune ma deve essere quanto più divulgato ai cittadini. Lo so, in comunicazione dobbiamo migliorare. Non sarei onesto con i cittadini e con me stesso se affermassi il contrario. Incontri pubblici, simulazioni periodiche, brochure e campagne informative, social network, un servizio di messaggistica che informi e orienti i cittadini in caso di necessità. Azioni per trasformare in patrimonio conoscitivo comune, che in situazioni di crisi fa la differenza e salva vite, uno strumento che se non divulgato rischia di restare un faldone burocratico e polveroso fine a se stesso.
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Bypass e futuro, l'Università di Ancona studierà il "caso Falconara"
Con lo scopo di ripensare la zona nord di Falconara, la città diventa argomento di studio per gli studenti della Facoltà di Ingegneria e del suo corso di laurea di Ingegneria Edile - Architettura della Politecnica delle Marche. Nell'ambito della programmazione dei corsi, e in particolare per gli esami di composizione architettonica e urbana e di urbanistica, gli universitari del 2°, 3° e 4° anno, con il coordinamento generale del prof Gianluigi Mondaini, svolgeranno approfondimenti, studieranno idee, formuleranno ipotesi di sviluppo per la zona di città che si estende da Villanova e fino a Rocca Priora, zona interessata dal passante ferroviario, il cosiddetto bypass, la cui realizzazione libererà una vasta area di territorio in una una parte importantissima della città di Falconara, forse la più delicata. Un'occasione, che si inserisce nella più ampia attività accademica, per gli studenti che si impegneranno in gruppi di lavoro per ideare delle progettualità future, delle proposte urbanistiche, per ipotizzare delle soluzioni e degli sviluppi futuri di questa vastissima area.
Ma anche una sfida da raccogliere. Sia per gli studenti, sia per il Comune così come per la collettività cittadina e l'intero territorio. Da parte nostra, sollecitiamo la vivacità dei giovani dando la possibilità alle nuove leve di studiare la realtà nella realtà. I lavori prodotti non saranno solo oggetto d'esame ma saranno messi in mostra al pubblico e potranno essere utilizzati nei confronti con Rfi e con gli altri interlocutori, istituzionali o meno, quando si discuterà del futuro di quell'area nord. Oltre al prof Mondaini, l'attività sarà guidata anche da altri docenti: Fausto Pugnaloni, Paolo Bonvini, Francesco Alberti e tutti i docenti e collaboratori dei Laboratori interessati. Attività che si svolgerà prevalentemente nelle aule dell'università, ma saranno previste visite in loco per raccogliere elementi, suggerimenti e idee. Il nuovo corso, che coinvolgerà circa 150 studenti, sarà presentato nella Sala del Consiglio al Castello di Falconara Alta mercoledì 12 alle 14. Un bell’esempio di sinergia e collaborazione fra Comune ed Università Politecnica delle Marche. Un appuntamento da non mancare, anche per amministratori, consiglieri comunali e cittadini.
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Burocrazia, quanto mi costi e quanto mi rallenti
Ogni giorno il cittadino quando si sveglia ed esce di casa pronto ad affrontare la giornata porta con sé un fardello che ne rallenta la falcata e ne paralizza in gran parte i movimenti. Un bagaglio pesante che non si vede ma che è ben presente in tutte le azioni che sarebbe intenzionato a compiere. Sto parlando della burocrazia. Leggi che cozzano tra loro. Competenze attribuite a più uffici statali che quasi mai vanno d’accordo tra loro e quasi mai hanno una visione univoca dell’interpretazione della norma. Lo Stato, che pure dovrebbe agevolare le iniziative, diventa un grande limite. Spesso invalicabile. Secondo il centro studi della Cgia di Mestre “il peso della burocrazia grava sulle Pmi per 31 miliardi l'anno”. Questo ovviamente frena qualsiasi velleità di ripresa e, sempre secondo Cgia, “fa più danni dell’evasione fiscale”.
Ovviamente non ci sono solo le imprese a subire tutto ciò. Abbiamo letto, nei giorni post sisma del 24 agosto, di fondi per ristrutturare le case fermi in qualche antro delle pubbliche amministrazioni. Di impiegati distratti. Di domande inevase. Guido Castelli, sindaco di Ascoli, ha recentemente raccontato in un’intervista d’aver impiegato tre anni e mezzo per avere i fondi necessari per rifare un ponte. Ha definito la procedura “complicata e intrisa di burocrazia”. Dai grandi problemi alle piccole cose del quotidiano, la musica non cambia. Sul Corriere Adriatico di oggi, l’assessore alle Politiche Giovanili di Ancona, Paolo Marasca, parlando di giovani e rapporto con le Istituzioni dice che “La politica anconetana potrebbe trarre grandi benefici dal contributo dei giovani. Il problema è accoglierli. Credo che ci sia grande disponibilità e apertura da questo punto di vista, anche se i ragazzi oggi vivono il rapporto tra pensiero e azione con grande immediatezza e questo si scontra con i tempi della burocrazia e dell’apparato statale”. Nell’articolo a fianco, dove parlano i ragazzi, si racconta, ad esempio, di un bando indetto dal Rotary, di soldi stanziati per riqualificare un parco fermi da tempo perché il Comune non indica come realizzare i lavori. Ma si può? Eppure è la triste realtà. Si dirà. Il burocrate attua ciò che il politico decide e quindi la colpa è di chi legifera. Analisi di pancia. Probabilmente vera in qualche caso ma non nella prassi. E non lo dico per difendere la categoria.
Basti pensare al cosiddetto “baratto amministrativo”, formula che nelle intenzioni del Governo Renzi voleva dare la possibilità a quanti avevano contratto debiti nei confronti dei Comuni di poter pagare svolgendo lavori socialmente utili. Non hai pagato la tassa sui rifiuti e non riesci perché hai perso il lavoro? Tagli l’erba di un parco e siamo pari. L’idea ci piaceva. Tanto che volevamo adottarla a Falconara. Il Consiglio Comunale ha anche votato nei mesi scorsi una mozione per istituire questa possibilità. Illusi. Il taglio dei debiti, che era il fulcro della legge, è stato bocciato dalla Corte dei Conti dell’Emilia Romagna chiamata a dire la sua dal Comune di Bologna. C’è il rischio di danno erariale, dicono. Al più, hanno spiegato i giudici contabili, si possono maturare crediti. Ovviamente nessun impiegato, funzionario, dirigente delle PA se la sente di mandare avanti una pratica del genere con la spada di Damocle di finire a processo per danno erariale. E così non se ne è fatto più niente.
La situazione è questa: mentre gli apparati dello Stato filosofeggiano tra loro di tutto e di niente, i cittadini, sempre più sfiduciati restano in attesa. C’è chi dice che le cose non cambiano perché i giovani non fanno la rivoluzione, non spingono verso il cambiamento. A dirlo sono al più i giovani di ieri che si ricordano le grandi abbuffate di ideali del ’68. Ancorati al ricordo di quando non avevano i capelli bianchi e ai privilegi allora ottenuti. Sbagliano. Non vedono al di là del proprio naso. I giovani non vanno in piazza a protestare non perché sono smidollati, “bamboccioni” o “choosy”, eccetera. Di giovani me ne ero già occupato nel post precedente. L'81% è convinto che la società non offra la possibilità di dimostrare quanto realmente valga. Il 66% annuncia che prenderebbe parte a un movimento per mandare a casa l'attuale classe dirigente. Perché non vanno in piazza? Perché con 20 euro di volo low cost riescono a raggiungere un Paese estero che meglio sa accoglierli e valorizzarli. In un mondo globale dove tutto è mercato occorre rendere la piazza appetibile. E Piazza Italia, al momento, non lo è affatto.
Ovviamente non ci sono solo le imprese a subire tutto ciò. Abbiamo letto, nei giorni post sisma del 24 agosto, di fondi per ristrutturare le case fermi in qualche antro delle pubbliche amministrazioni. Di impiegati distratti. Di domande inevase. Guido Castelli, sindaco di Ascoli, ha recentemente raccontato in un’intervista d’aver impiegato tre anni e mezzo per avere i fondi necessari per rifare un ponte. Ha definito la procedura “complicata e intrisa di burocrazia”. Dai grandi problemi alle piccole cose del quotidiano, la musica non cambia. Sul Corriere Adriatico di oggi, l’assessore alle Politiche Giovanili di Ancona, Paolo Marasca, parlando di giovani e rapporto con le Istituzioni dice che “La politica anconetana potrebbe trarre grandi benefici dal contributo dei giovani. Il problema è accoglierli. Credo che ci sia grande disponibilità e apertura da questo punto di vista, anche se i ragazzi oggi vivono il rapporto tra pensiero e azione con grande immediatezza e questo si scontra con i tempi della burocrazia e dell’apparato statale”. Nell’articolo a fianco, dove parlano i ragazzi, si racconta, ad esempio, di un bando indetto dal Rotary, di soldi stanziati per riqualificare un parco fermi da tempo perché il Comune non indica come realizzare i lavori. Ma si può? Eppure è la triste realtà. Si dirà. Il burocrate attua ciò che il politico decide e quindi la colpa è di chi legifera. Analisi di pancia. Probabilmente vera in qualche caso ma non nella prassi. E non lo dico per difendere la categoria.
Basti pensare al cosiddetto “baratto amministrativo”, formula che nelle intenzioni del Governo Renzi voleva dare la possibilità a quanti avevano contratto debiti nei confronti dei Comuni di poter pagare svolgendo lavori socialmente utili. Non hai pagato la tassa sui rifiuti e non riesci perché hai perso il lavoro? Tagli l’erba di un parco e siamo pari. L’idea ci piaceva. Tanto che volevamo adottarla a Falconara. Il Consiglio Comunale ha anche votato nei mesi scorsi una mozione per istituire questa possibilità. Illusi. Il taglio dei debiti, che era il fulcro della legge, è stato bocciato dalla Corte dei Conti dell’Emilia Romagna chiamata a dire la sua dal Comune di Bologna. C’è il rischio di danno erariale, dicono. Al più, hanno spiegato i giudici contabili, si possono maturare crediti. Ovviamente nessun impiegato, funzionario, dirigente delle PA se la sente di mandare avanti una pratica del genere con la spada di Damocle di finire a processo per danno erariale. E così non se ne è fatto più niente.
La situazione è questa: mentre gli apparati dello Stato filosofeggiano tra loro di tutto e di niente, i cittadini, sempre più sfiduciati restano in attesa. C’è chi dice che le cose non cambiano perché i giovani non fanno la rivoluzione, non spingono verso il cambiamento. A dirlo sono al più i giovani di ieri che si ricordano le grandi abbuffate di ideali del ’68. Ancorati al ricordo di quando non avevano i capelli bianchi e ai privilegi allora ottenuti. Sbagliano. Non vedono al di là del proprio naso. I giovani non vanno in piazza a protestare non perché sono smidollati, “bamboccioni” o “choosy”, eccetera. Di giovani me ne ero già occupato nel post precedente. L'81% è convinto che la società non offra la possibilità di dimostrare quanto realmente valga. Il 66% annuncia che prenderebbe parte a un movimento per mandare a casa l'attuale classe dirigente. Perché non vanno in piazza? Perché con 20 euro di volo low cost riescono a raggiungere un Paese estero che meglio sa accoglierli e valorizzarli. In un mondo globale dove tutto è mercato occorre rendere la piazza appetibile. E Piazza Italia, al momento, non lo è affatto.
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I giovani, la sfiducia, le Marche
Giovani esclusi, precari, neet, fuori dalle decisioni che contano, ignorati dalle leggi, dalle dinamiche di un Stato che, al di là dei proclami e delle pie intenzioni, è più occupato a “conservare” lo status quo e “contenere” i privilegi (contrabbandati per diritti acquisiti) dei più attempati. Risultato: prospettive incerte, mediocrità passate per novità eccentriche, conflittualità latenti e diffuse, che esplodono periodicamente, a macchia di leopardo.
Giovani esclusi, precari, neet, fuori dalle decisioni che contano, ignorati dalle leggi, dalle dinamiche di un Stato che, al di là dei proclami e delle pie intenzioni, è più occupato a “conservare” lo status quo e “contenere” i privilegi (contrabbandati per diritti acquisiti) dei più attempati. Risultato: prospettive incerte, mediocrità passate per novità eccentriche, conflittualità latenti e diffuse, che esplodono periodicamente, a macchia di leopardo.
Nei giorni scorsi l'argomento è stato trattato, in maniera incisiva ed interessante, sulle colonne del Corriere Adriatico da Carlo Carboni, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro all'Università Politecnica delle Marche. Spiega Carboni, nell'illustrare quello che è un vero e proprio scontro generazionale, che l'Italia è divisa in due. Gli over 65, più organizzati e meglio rappresentati, e i giovani con minori tutele, lavori precari, la pensione un miraggio. Lavorano il triplo, guadagnano meno delle generazioni precedenti. Il che, vero in tutta Italia, nelle Marche, regione notoriamente tra le più longeve d'Europa, è fenomeno ancor di più accentuato. Dice ancora Carboni che per far ripartire quello che lui definisce "marchingegno" occorre allacciare un dialogo tra le generazioni anche perché le sfide del mondo globalizzato partono dalle conoscenze tecnologiche. E chi meglio dei giovani, connessi h24, padroni delle nuove tecnologie e di un sapere spesso sconosciuto ai più, con significative esperienze di studio e di lavoro, sovente maturate anche all'estero,a conoscenza delle lingue, con un'istruzione che meglio si adatta ai tempi oltre alla freschezza mentale per decifrare il futuro, possono risultare vincenti?
Il mio non vuole essere un discorso aereo o qualunquista, tanto per guadagnare qualche simpatia. Troppo spesso si ricorre, in varie salse, ai giovani per promuovere, in realtà, sé stessi. In un tripudio di immagine, vuoto ed obsoleto. Tutt'altro. Il mio è un invito a tutti affinché si chieda e pretenda più spazio. Ma l'iniziativa spetta, in prima istanza, proprio ai più giovani. Niente è più potente e foriero di risultati e di prospettive del protagonismo attivo, delle proposte concrete, dell'ascoltare per essere ascoltati. Oggi, per lo più, si chiacchiera, non si discute. Non si dialoga, ma ci si elide verbalmente a vicenda. Invertiamo la tendenza!
Dando un'occhiata al sondaggio online Generation What, lanciato in tutta Europa e al quale in Italia hanno preso parte per ora oltre 80mila ragazzi, si evince che il 31% degli intervistati tra i 18 e i 34 anni giudica il proprio stipendio per nulla in linea alle competenze professionali. Circa il 20% non è soddisfatto del lavoro che fa perché pensa che la sua formazione sia superiore. Un 44% dei giovani tra i 18 e i 34 anni pensa che la scuola non prepari efficientemente al mondo del lavoro e solo il 33% è convinto che a scuola venga premiato il merito. L'81% è convinto che la società non offra la possibilità di dimostrare quanto realmente valga. Il 66% annuncia che prenderebbe parte a un movimento per mandare a casa l'attuale classe dirigente. La sfiducia è tanta, ma questa non si deve trasformare in abbandono. L'auspicio è che diventi allora vera forza riformatrice; che in democrazia significa dissentire e dibattere. Fare la sintesi delle varie sensibilità, stando anche pronti a rinunciare a qualcosa oggi; forse se se ne può trarre un beneficio per tutti domani.