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Quando Falconara chiama, noi siamo pronti
Inizia una nuova avventura. In un settore importante come quello dell'Urbanistica. È con rinnovato slancio che intendo dedicarmi al nuovo incarico e ringrazio della fiducia e degli atti di stima esternati dal sindaco Goffredo Brandoni. Da parte mia ho sempre considerato l'incarico pubblico un servizio da rendere alla collettività e spero di non deludere i cittadini. So che la vita politica è composta anche di momenti difficili e di incomprensioni. La virtù sta nell'essere in grado di superarli.
Con il dialogo, il dibattito e il confronto. Interpreto questo nuova e, in parte, rinnovata esperienza come un contributo, anche personale, affinché le intenzioni diventino realtà o, quanto meno, si pongano le basi per programmare e disegnare un futuro per la città e per il territorio che la circonda. Un futuro di sviluppo, di trasformazione di crescita economica, ambientale e culturale. L'attenzione dovrà essere posta soprattutto per le nuove generazioni affinché possano cogliere le possibilità e le occasioni più fruttuose sul piano occupazionale, in quello delle relazioni sociali e nell'amore vero verso un territorio fragile e da salvaguardare, sì, ma che ha tanta potenzialità inespressa. Chiedo per questo l'aiuto di tutti. Delle associazioni di qualsiasi orientamento ed estrazione culturale, ma anche delle forze politiche, rappresentate o meno in questo consiglio comunale, pur nel rispetto di posizioni diverse, ma in un clima di costruzione e di concordia.
Con il dialogo, il dibattito e il confronto. Interpreto questo nuova e, in parte, rinnovata esperienza come un contributo, anche personale, affinché le intenzioni diventino realtà o, quanto meno, si pongano le basi per programmare e disegnare un futuro per la città e per il territorio che la circonda. Un futuro di sviluppo, di trasformazione di crescita economica, ambientale e culturale. L'attenzione dovrà essere posta soprattutto per le nuove generazioni affinché possano cogliere le possibilità e le occasioni più fruttuose sul piano occupazionale, in quello delle relazioni sociali e nell'amore vero verso un territorio fragile e da salvaguardare, sì, ma che ha tanta potenzialità inespressa. Chiedo per questo l'aiuto di tutti. Delle associazioni di qualsiasi orientamento ed estrazione culturale, ma anche delle forze politiche, rappresentate o meno in questo consiglio comunale, pur nel rispetto di posizioni diverse, ma in un clima di costruzione e di concordia.
Per quanto riguarda il resto della giunta, ho sempre sostenuto che la vera forza di questo gruppo politico e il saper trovare la strada verso il bene e il miglioramento della città discutendo, sapendo dibattere e trovando alla fine la necessaria compattezza che serve per amministrare in tempi difficili come quello che viviamo. Chi ci critica ha parlato di me, ma anche dell'uscente presidente del consiglio, Marco Giacanella, o dell'assessore uscente Fabio Marcatili come di "vittime" di una faida interna. È difficile capire un tale atteggiamento proprio in un periodo storico in cui si accusa tanto la degenerazione della politica. Delle parole strumentali e "interessate" non mi curo. A chi parla, invece, in maniera genuina dico che i cambiamenti, la rotazione degli incarichi, le idee nuove, fresche dei più giovani e le riflessioni, i consigli dei più anziani contribuiscono proprio a cambiare e migliorare la politica nel concreto. Il nostro è disinteressato spirito di servizio. Lo stesso che dal 2008 ci ha consentito di salvare una città alla sfascio e di instradarla verso una normalità con punte di eccellenza. Un sentimento che coinvolge tutti. Sindaco, giunta, consiglieri e anche i non eletti. Quando Falconara chiama, noi siamo pronti.
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Aeroporto di Falconara, basta improvvisazioni: si torni a volare
Il grande successo della recente iniziativa cittadina sui 20 anni dalla fine del ponte aereo umanitario tra Falconara e Sarajevo ha riportato alla ribalta un tema di straordinaria importanza, che mi sta particolarmente a cuore. Il Sanzio, all'epoca centro nevralgico del nostro cosiddetto Occidente e porta verso l'Oriente martoriato dei Balcani, venne scelto per la sua incomparabile posizione strategica. Le piste larghe e di una lunghezza invidiabile, da "Concorde", un traffico passeggeri significativo, ma non in quantità tale da interferire negativamente con le operazioni militari e umanitarie, resero le Marche il punto più appetibile per allestire ospedali da campo, magazzini con beni di prima necessità e tutto il necessario per la permanenza – dal 1993 al 1996 – del personale militare e civile impegnato sul campo. Un incarico di vasta portata e incredibile, quasi eroico, che ha visto operare mezzi e uomini davvero straordinari! Ma le necessità della guerra, con il suo carico repellente di distruzione, di morte e di inutilità politica, avevano almeno fatto emergere ciò che nessuno (forze economiche, politici, esperti di varia estrazione) aveva avuto (e neanche tuttora chiaramente) il coraggio e l'onesta intellettuale di ammettere, evidenziare e tradurre in conseguenti atti operativi: l'invidiabile collocazione geopolitica e vocazione commerciale internazionale della struttura aeroportuale che si affaccia sull'Adriatico. Quasi un ponte che spicca il volo verso l'Est Europeo e il mondo orientale.
Purtroppo l'aeroporto di Falconara è sempre stato sentito non come una opportunità o una vera risorsa, ma come un corpo estraneo e non solo dalla comunità cittadina. Come se non ci appartenesse affatto. Un non luogo a se stante. Finiti i riflettori mondiali – che i più hanno guardato con noncuranza, quando non con vera e propria indifferenza – si è tornati nell'anonimato senza cogliere invece l'onda lunga di quel periodo. Il mio pensiero è che si dovrebbe iniziare una buona volta a considerare il sito aeroportuale e i servizi connessi come infrastruttura strategica del territorio, al servizio di tutte le Marche, del versante Adriatico, dell'intero Centro Italia e per questo catalizzatore di opportunità, fonte di potenziale sviluppo. Altro che immiserirci in sterili polemiche con Rimini o altri attori casalinghi!
Ma che fare? E soprattutto come? Partiamo da Aerdorica, la società che gestisce lo scalo, da tempo alle prese con una difficile privatizzazione, buchi di bilancio e stipendi arretrati da pagare, un precedente cda dimissionario per incompetenza (il bando per la privatizzazione bocciato da Enac con conseguente allontanamento di possibili acquirenti è lì a testimoniarlo) e l'ancor prima direttore generale protagonista di una gestione davvero discutibile. Basta improvvisazioni. Aerodorica deve essere messa in mano a persone esperte che non si riempiano la bocca solo con la parola "turismo". Siamo un aeroporto votato al cargo. Abbiamo spazi, l'Interporto di Jesi a poco più di 10 chilometri e il porto di Ancona a 16. Eppure si rincorrono da tempo i "salvataggi di emergenza" della società e si accumulano debiti: a oggi, una quarantina di milioni, comprese tasse comunali non pagate: Falconara deve avere circa 1 milione tra Imu e Tarsu/Tari. "Rilancio" è la parola d'ordine che si ripete di volta in volta sulla bocca dei politici di turno.
All'ultima ricapitalizzazione, la Regione Marche ha messo sul piatto 3 milioni di euro. Noi, come Comune, abbiamo ritenuto di non partecipare, non potendo aggravare ancora di più ai cittadini la già pesante situazione finanziaria ereditata dal passato. La nostra quota in società, già minima, è diminuita, ma comunque ci consente di sedere al tavolo dell'assemblea dei soci. E, in tutti i casi, siamo sempre, vivaddio, il Comune ospitante! Ancona, che spesso dimentica di essere il capoluogo della nostra regione, è uscita di scena vendendo tutte le sue quote. La Camera di Commercio di Ancona, di contro, ha confermato la volontà di proseguire. Il presidente Giorgio Cataldi ha dichiarato all'Ansa di aver preso atto del lavoro del nuovo managment e, citando il ripristino del secondo volo per Monaco, hub intercontinentale, l'accordo con Costa Crociere per un volo su Dubai (home port della compagnia), il lavoro costante con i più importanti operatori merci, ha detto di ritenere lo "un fattore imprescindibile per la competitività e lo sviluppo dell'intera regione". Il nuovo dg, Andrea Delvecchio ha parlato di "grandi potenzialità inespresse", ha detto di voler partire con il piano di privatizzazione e di voler consolidare il settore del trasporto merci.
Speriamo sia la volta buona. Il dubbio è che senza una vera unità d'intenti – ed è per questo che da tempo parlo di managment unico tra Autorità Portuale, Interporto e Aerdorica – si rimanga con la solita frammentazione che non porta da nessuna parte se non a collezionare titoli sui giornali vuoti di concretezza.
Tornando a Sarajevo e all'iniziativa organizzata dal Comune e dalla dinamica associazione Futura, il mio auspicio è che si possa tornare a parlare di aeroporto con prospettive. Nonostante siano passati 20 anni di nulla o quasi, penso sia il caso di riprendere un discorso di amicizia e vicinanza tra le due sponde dell'Adriatico. L'Italia ha forti legami con tutti i Paesi della ex-Jugoslavia. Con la Bosnia, in particolare, l'interscambio commerciale vale oltre 1,5 miliardi di euro, il Ministero degli Esteri ha recentemente sottoscritto un accordo bilaterale in materia di cultura, istruzione e sport e la Protezione Civile guida un programma europeo per prevenire e intervenire in caso di calamità naturali. Insomma, ci sono opportunità per le nostre imprese e, allo stesso tempo, possibilità per l'economia bosniaca e non solo di riprendersi e ripartire. E dalle Marche? Oggi voliamo su Spalato, Zara e Tirana. Possiamo e dobbiamo pensare a espandere i nostri orizzonti. Se deve essere Macroregione Adriatico Ionica, questa è quella che, nel concreto, preferiamo!
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Le Primarie: metodo democratico avanzato o strumento in salsa al pomodoro?
Difficile rispondere a questo dubbio. D'altra parte siamo pompe idrovore nell'aspirare dagli americani di tutto un po', per poi immergere, fatti e misfatti, nel nostro vecchio, muffo, provincialismo. Gli effetti sono sempre devastanti o, più spesso, comici. Non fa eccezione l'attuale tenzone, a distanza, tra Donald Trump e Hillary Clinton. Già vedo i nostrani italioti iniziare a separarsi, come in un minuetto, tra “moderati” da una parte e “progressisti” dall'altra. Che, nel codice italico, vorrebbe dire, per definizione, “centrodestra” e “centrosinistra”. Il tutto a scopo casalingo per presunti, quanto desiderabili, interessi di parte. Puro squallore! Distillato ed annacquato. Molto meglio, tuttavia, concentrarsi, stando al tema, sulle primarie americane, per quanto discutibili, che su quelle nostrane.
Personalmente penso che, per come è impostato il nostro modello politico, quelle italiane siano, più che altro, una nemmeno tanto riuscita operazione di marketing del Partito Democratico. Nel centrodestra, di contro, assistiamo a tentativi, spesso goffi, di rincorsa dell'avversario. Come a Roma con la consultazione confermativa sulla figura di Bertolaso. Molto più interessanti, dunque, quelle a Stelle&Strisce. Nei giorni scorsi ho avuto modo di leggere molti autorevoli interventi sulla stampa nazionale. Tra i tanti ho trovato particolarmente interessante un editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera. Panebianco sostiene che come europei dovremmo auspicare il futuro Presidente degli Stati Uniti valutandone i propositi in politica estera e i rapporti con gli alleati. Obama, pur salutato dalle sinistre italiane come una sorta di rivincita dei socialisti a livello mondiale, per quel che riguarda il nostro tornaconto ha fatto poco o nulla. Se non è stato dannoso. Non dimentichiamoci che a bombardare la Libia nel 2011, senza avere un minimo piano di cosa fare nel dopo e con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, non è stato solo il ridanciano francese Sarkò ma lo stesso Premio Nobel per la Pace Obama. Per non parlare dei tentennamenti e delle ambiguità nell'ambito della crisi siriana, altro focolaio che infiamma d'instabilità l'area mediterranea e tiene occupata l'intera Europa con l'emergenza migranti. Poi? Alti e bassi. La ripresa dei rapporti con l'Iran - che ha portato a rimuovere l'embargo sul Paese degli Ayatollah - fa sperare le nostre aziende: pre sanzioni esportavamo 7 miliardi di euro di prodotti, dopo appena 1,2. Confindustria adesso confida di arrivare a 3 miliardi nel giro di un paio di anni. Di contro le sanzioni alla Russia, lanciate nell'ambito della crisi ucraina e praticamente imposte anche all'Unione Europea, costano all'Italia 3,7 miliardi di export ogni anno. Cosa c'è da aspettarsi dal futuro? Sento molti italiani, a destra e di sinistra, fare il tifo rispettivamente per Trump o per la Clinton. Qualche temerario alza la bandierina per il socialista Sanders. Come se gli schieramenti statunitensi rispecchiassero quelli italiani. Nulla di più sbagliato.
Donald Trump vorrebbe un'America più chiusa. Stop agli aiuti internazionali, dazi sui prodotti provenienti dalla Cina, via i musulmani dagli States, muro antimessicani da far pagare agli stessi e altre trovate da far impallidire un venditore di auto usate. Si è detto anche contro l'accordo raggiunto con l'Iran e quindi, in caso, addio all'export di cui sopra. A contendergli la scena tra i Repubblicani, c'è Ted Cruz. Non è dietro come ce lo dipingono i media. Il senatore texano, nato in Canada da padre cubano e madre italo irlandese, è ad appena 99 delegati di distanza. E da qui alla fine ci sono stati chiave come Florida e Illinois (domani), California, New York. Fare il tifo per lui? Anche Cruz riporterebbe le lancette iraniane ai tempi dell'embargo, è per un intervento in Siria contro l'Isis (il che viste le pressioni turche lo porterebbe alla prova dei muscoli con la Russia) e anziché impedire l'ingresso negli States ai musulmani, vorrebbe autorizzarlo ai soli cattolici. Non ha specificato se allargato a tutte le confessioni di radice cristiana o solo alla sua: quella battista.
In campo Democratico, Hillary Clinton ha acquisito un buon vantaggio, ma Bernie Sanders non molla. Sostenerlo? Panebianco pensa sia anche lui troppo isolazionista anche se nei comizi ha più volte rimarcato la bontà della risoluzione iraniana (da monitorare) e la volontà di occuparsi di Siria ma non con un intervento di terra. C'è da aspettarsi un prosieguo delle politiche di Obama, molto più attivo agli Interni che agli Esteri, anche dal senatore del Vermont. Diverso l'approccio della Clinton. Già da first lady ha avuto il modo di girare il mondo. Ed era al fianco del marito Bill quando gli Stati Uniti sono intervenuti per spegnere la polveriera balcanica della Guerra nell'ex Jugoslavia. Sono passati 20 anni esatti dalla fine del Ponte Umanitario Falconara – Sarajevo. Ve lo ricordate? Lei era già lì. L'esperienza in campo internazionale, anche in qualità di Segretario di Stato del primo Obama, non le manca. Panebianco indica in lei la migliore delle scelte possibili. In questo caso, concordo con lui.
Molta confusione, però, in definitiva, come si vede. Nella più consolidata tradizione americana. Ma, almeno, c'è dell'arrosto nel dibattito. Nulla a che vedere con le “primarie” nostrane: i temi sono impalpabili, le regole inesistenti o patrimonio esclusivo dei padroni del momento, i candidati pullulano da ogni dove. Sintomo di democrazia? Ho i miei dubbi. I gruppi di pressione, le lobbies, le rappresentanze più disparate nascono e muoiono a ritmo giornaliero. Sintomo di vitalità civica? Non saprei. Un sussulto di responsabilità e di spirito costruttivo sarebbe, a mio giudizio, sicuramente auspicabile e necessario. Per il bene stesso delle nostre comunità e per il nostro futuro, anche a livello locale.
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JVillage, finalmente non il solito centro commerciale
Nei giorni scorsi si è parlato di Jvillage, un progetto che nasce all'interno di Confindustria e che vede insieme Regione Marche e Gruppo Maccaferri, proprietario dell'area ex Sadam di Jesi, per attrarre aziende ad alto contenuto tecnologico in una sola area. Il proposito di arrivare ad avere una mini Silicon Valley in Vallesina, aperta alle nuove sfide del futuro, con un tessuto imprenditoriale che vada a sostituire le macerie lasciate dalla crisi e con la possibilità, per chi vi opera, di sviluppare network accelerando così l'evoluzione tecnologica, può essere la chiave di volta del nostro territorio. La Zipa, che nasce nel porto di Ancona ma che a Jesi, la Milano delle Marche, e in Vallesina ha trovato il suo vero grande sviluppo, ha la possibilità di rinnovare la sua mission che oggi come ieri è quella di rilanciare attraverso opportunità imprenditoriali, l'economia di un territorio. Dopotutto, non sono affatto pochi gli economisti che paragonano la situazione odierna di uscita dalla crisi come la Ricostruzione che l'Italia ha vissuto nel Dopoguerra. Occorre reinventarsi e le opportunità date dalle cosiddette "knowledge companies", ovvero le aziende della conoscenza, dell'informatica, dell'innovazione, unite all'inventiva tutta nazionale che ha fatto del Made in Italy uno dei brand più quotati al mondo, possono fare da nuova locomotiva alla nostra economia.
Nei giorni scorsi si è parlato di Jvillage, un progetto che nasce all'interno di Confindustria e che vede insieme Regione Marche e Gruppo Maccaferri, proprietario dell'area ex Sadam di Jesi, per attrarre aziende ad alto contenuto tecnologico in una sola area. Il proposito di arrivare ad avere una mini Silicon Valley in Vallesina, aperta alle nuove sfide del futuro, con un tessuto imprenditoriale che vada a sostituire le macerie lasciate dalla crisi e con la possibilità, per chi vi opera, di sviluppare network accelerando così l'evoluzione tecnologica, può essere la chiave di volta del nostro territorio. La Zipa, che nasce nel porto di Ancona ma che a Jesi, la Milano delle Marche, e in Vallesina ha trovato il suo vero grande sviluppo, ha la possibilità di rinnovare la sua mission che oggi come ieri è quella di rilanciare attraverso opportunità imprenditoriali, l'economia di un territorio. Dopotutto, non sono affatto pochi gli economisti che paragonano la situazione odierna di uscita dalla crisi come la Ricostruzione che l'Italia ha vissuto nel Dopoguerra. Occorre reinventarsi e le opportunità date dalle cosiddette "knowledge companies", ovvero le aziende della conoscenza, dell'informatica, dell'innovazione, unite all'inventiva tutta nazionale che ha fatto del Made in Italy uno dei brand più quotati al mondo, possono fare da nuova locomotiva alla nostra economia.
Lo vediamo nel "piccolo" di Falconara. Nei giorni scorsi, uno studio Cna sull'andamento delle imprese ha dipinto un 2015 in controtendenza rispetto a Provincia e Regione. A Falconara le imprese sono aumentate dello 0,7% mentre sono diminuite sia nell'Anconetano (- 0,7%) che nell'intera regione (- 0,8%). Abbiamo meno ristoranti e alloggi turistici ma più aziende di servizio di supporto alle imprese e attività professionali scientifiche e tecniche. Alla fine la conta segna 131 cessazioni contro 156 nuove aperture. È un mondo economico che cambia velocemente. Noi, come politici, abbiamo il dovere (non facile) di abbattere lacci e le spesso incomprensibili lungaggini burocratiche che frenano gli investimenti e la voglia di fare. E dobbiamo programmare il futuro. Anche dicendo no, a volte. È quello che abbiamo fatto quando a Jesi il futuro dell'ex Sadam sembrava avviarsi verso l'ennesimo centro commerciale. Senza per altro avere alle spalle uno studio su volumi commerciali e traffico potenzialmente generato dalla nuova attività. Così, tanto per fare. Alla conferenza dei servizi, alla quale ho partecipato in rappresentanza del Comune, Falconara si è opposta. Non tanto come Agugliano, Monte San Vito e Chiaravalle perché prevalentemente preoccupati dal traffico ma perché animati da un ragionamento più ampio. E che guardava lontano. A nostro avviso, e sono stato sostanzialmente il solo in quell'assise a spingere su questo punto, si dovevano prevedere attività capaci di garantire lavoro durevole nel tempo e non iniziative spuntate e in conflitto con altre avviate sul territorio. Una critica, in pratica, in solitaria nel silenzio dei tecnici della Provincia, del Comune di Jesi e di qualche sindacato. Un minimo di lungimiranza, ogni tanto, non guasterebbe. Penso che con JVillage si stia andando nella direzione giusta. Il già avviato Jesi Cube funziona da incubatore di imprese per l'avvio di spin off universitari, tutoraggio, assistenza e consulenza. Mettergli JVillage a fianco significa moltiplicare le possibilità e permettere lo sviluppo di una filiera di evoluzione tecnologica, di ricerca e innovazione continua. Se non si tratta di una bufala, una gran bella cosa che profuma di futuro.